8 febbraio 2009
Quant'è un parpitu d'occhi...
Primo incontro di letture mauriane
«Questo primo incontro di letture mauriane, che si tiene alcuni giorni dopo il giorno natale del poeta, tenterà di tracciare le linee tematiche delle poesie del nostro autore. Sarà una sorta di introduzione al mondo poetico, talvolta sanguigno altre più riflessivo, di Paolo Maura con una particolare attenzione al rapporto che l’autore aveva con il tema dell’amore.
Le ottave pervenuteci dedicate al sentimento sono circa ottanta, l’amore appare ora causa di enormi sofferenze (si ricordino i primi versi furiosi de La Pigghiata) ora occasione di appagamento totale.
Granni su’ li me’ peni e li martiri, / granni su’ li tormenti e li duluri, / quantu su’ li me’ guai non si po’ diri. […] Quantu è gravi e pisanti lu me’ mali / chi appisu ogn’ura mi teni a la corda / e su’ battutu di peni immortali? / Ma amuri non ci curpa, è ‘dda cajorda, ‘dda gran foddi spirdata di fortuna, ch’opra a la cieca, la putta balorda.
Al di là delle suggestioni letterarie, il petrarchismo dominante ancora in pieno XVII secolo nella cultura siciliana, è l’urgenza della biografia personale e sentimentale che rende la materia palpitante di vita.
La prima fase giovanile del Maura, immerso nella serenità della sua campagna, fu caratterizzata dall’innamoramento per una giovane della nobile e ricca famiglia Maniscalco, una delle più potenti dell’epoca, appartenente alla ristretta oligarchia che governava la città di Mineo nel Seicento. L’amore per la giovane Maniscalco fu ricambiato, ma l’opposizione della famiglia fu drastica e la ragazza venne richiusa, monaca di clausura, nel Monastero di Santa Maria degli Angioli. I Maniscalco appartenevano al nucleo ristretto di potenti che dettava legge. Fu proprio la legge della famiglia Maniscalco a mutare radicalmente la vita del Maura, con accuse evidentemente false (violazione della sacralità del convento) fu rinchiuso dapprima nel Castello di Piazza Armerina e successivamente alla Vicaria di Palermo. Esperienza terribile quella dell’arresto e della prigionia che, però, regalerà ai suoi lettori le bellissime terzine de La Pigghiata.
Il giovane Maura non si rassegnò alla reclusione dell’amata e pur di vederla affacciata alla finestra trascorreva intere giornate di fronte al monastero seduto sui gradini della Chiesa di Santa Maria della Mercede.
Non si hanno notizie per stabilire con esattezza quando fu arrestato né quanto tempo rimase in carcere, sappiamo soltanto che ne uscì nel 1673, per sposare il 23 gennaio del 1673, proprio il giorno del suo trentacinquesimo compleanno, Doralice Limoli.
L’amore arrecò ancora una volta grandi sofferenze al nostro a causa della morte prematura della moglie. A lei post mortem dedicherà dei versi ricchi di delicatezza, dal triste sapore amaro, lontano dai toni satirici tipici del Maura.
Questa tragedia lo portò ad isolarsi sempre più nella sua villa, lontano da Mineo e dai suoi concittadini verso i quali nutriva un acerbo disprezzo che si acuiva con il passar degli anni. Cambiò con l’uomo anche la sua poesia: dal giovanile tono satirico, passò ad un moralismo altero, volendo proporre il suo esempio come monito per evitare gli errori giovanili.
L’ultima produzione del Maura, non casualmente, affronta il tema della morte, che il poeta dovette sentir prossima e che ineluttabilmente sopraggiunse il 24 settembre del 1711.
In conclusione, si ringrazia per la partecipazione di Francesco Schembari, senza il quale l’ascolto delle ottave potrebbe risultare noioso. Si ricorda, inoltre, che negli altri incontri che si terranno si tenterà di affrontare altri aspetti dell’opera mauriana: il rapporto con il tema barocco della morte, l’aspetto più carico di tratti satirici e ironici legato alla comunità menenina, mentre un incontro sarà dedicato espressamente al La Pigghiata.
Buon ascolto e alla prossima occasione».
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